di Giorgio Cortese
Simbolo per eccellenza dei Giochi sono i cinque cerchi intrecciati, raffiguranti concettualmente l’intreccio dei cinque continenti. I colori azzurro, giallo, nero, verde, rosso, più il bianco dello sfondo, sono stati scelti perché presenti in tutte le bandiere, mentre non è vero, come a volte si dice, che a ogni colore corrisponda un continente. Dei cerchi si parlò per la prima volta nel 1913, in una lettera di Pierre de Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne. L’anno successivo vennero adottati ufficialmente ma, diversamente da oggi, erano posti in fila come una catena, a significare l’unione fra i popoli, all’epoca molto fragile. Poco dopo infatti scoppiò la Prima guerra mondiale e i previsti Giochi del 1916 non si disputarono. Si dovette aspettare il 1920 per rivedere i cinque cerchi. Tutti sappiamo oche cosa è la torcia olimpica. Nel lungo tragitto attraverso i Paesi percorso dai tedofori, dal greco teda, “fiaccola” e fori, “portatori”, con la torcia accesa, dalla città greca di Olimpia alla sede dei Giochi, c’è tutto lo spirito olimpico di amicizia fra i popoli.
Eppure la sua origine ha un’ombra sinistra. Fu infatti introdotta alle Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle di Hitler per intenderci. È dunque un’idea nazista, concepita come una staffetta tra migliaia di atleti, a essere arrivata fino a noi. Nell’antica Grecia invece non era previsto il tedoforo. Esistevano gare di corsa a squadre con fiaccole dette “lampadedromie”, disputate nei giorni delle Panatenee di Atene. Ma nessuno aveva mai pensato di portare il fuoco sacro lontano da Olimpia. Oggi invece quel fuoco, acceso in Grecia, gira per il mondo e, anche se qualche volta si spegne, per riaccenderlo viene utilizzato un fuoco di riserva conservato in lampade apposite, riesce sempre a giungere, grazie ai suoi portatori, a destinazione.
Ad Atene, nelle Olimpiadi del 1896, i vincitori nelle varie specialità erano solo due. Il primo riceveva una medaglia d’argento e un ramo di ulivo, il secondo una di rame e un ramo di alloro. Talvolta furono aggiunti premi speciali, come a Parigi, nel 1900, quando ai vincitori vennero consegnate opere d’arte e oggetti, tra cui libri e ombrelli. Mancava però ancora il terzo classificato. Solo nel 1904 a Saint Louis, infatti, si cominciò a premiare i primi tre classificati di ogni gara con medaglie d’oro, interamente d’oro fino al 1912, oggi d’argento rivestite d’oro, al primo, di argento al secondo e di bronzo al terzo, assegnate retroattivamente anche ai vincitori delle precedenti Olimpiadi Il fuoco olimpico è una delle poche tradizioni davvero antiche. Già in Grecia il fuoco veniva tenuto acceso per tutta la durata dei Giochi. La fiamma olimpica è stata reintrodotta nelle Olimpiadi del 1928, quando fu riaccesa per la prima volta, non in Grecia ma ad Amsterdam. Soltanto nel 1960 la fiamma riprese la sua tradizionale sede.
Da allora a Olimpia alcune attrici nelle vesti di sacerdotesse accendono il fuoco con il metodo dello specchio concavo che convoglia i raggi solari verso l’esca. Poi, trasferita sulla torcia dei tedofori, la fiamma di Olimpia raggiunge la sede delle gare dove brucia in un apposito braciere per essere spenta solo alla fine dei Giochi olimpici. Il podio per i vincitori è apparso per la prima volta a Los Angeles durante le Olimpiadi del 1932. In quell’occasione si decise che chi vinceva doveva stare su un piedistallo. Ma nelle intenzioni di chi lo inventò, soltanto il primo classificato, il vincitore della medaglia d’oro, meritava il “rialzo”. Il secondo, argento, e il terzo, bronzo, si sarebbero trovati tra loro a pari altezza. I podi infatti non erano in scala. A Mosca nel 1980, invece, si preferì mettere su due livelli differenti la pedana per il bronzo e quella per l’argento. In seguito, nelle edizioni più recenti, si è tornato a mettere sul podio soltanto la medaglia d’oro.
Nel canottaggio, per via dei tanti membri degli equipaggi, tutti sono messi invece sullo stesso piano. I blocchi di partenza anche se non sono un simbolo dei Giochi, sono sicuramente una delle immagini caratteristiche delle Olimpiadi. Grazie a questi appoggi inclinati, su cui l’atleta spinge con i piedi, si può guadagnare fino a un decimo di secondo in velocità. Per questo gli atleti, soprattutto i velocisti, ne hanno sempre sentito l’esigenza. Fino al 5 febbraio 1929, quando George Breshnan li brevettò, gli atleti scavavano fossette per i piedi, per darsi la spinta iniziale. Alle Olimpiadi però i blocchi fecero la loro apparizione soltanto in occasione dei Giochi di Londra del 1948, a 20 anni dalla loro invenzione.