di Giorgio Cortese
Strumento d’uso quotidiano, il phon, o asciugacapelli, si basa su un meccanismo in cui una piccola ventola convoglia aria verso le nostre chiome dopo averla fatta passare attraverso una resistenza elettrica di potenza variabile, scaldandola in modo da creare un flusso asciugatore. Il primissimo antenato di questo rivoluzionario oggetto fu ideato nel 1888 dal coiffeur francese Alexandre-Ferdinand Godefroy, era un grande copricapo, simile ai moderni caschi da parrucchiere, collegato a una stufa a gas tramite un tubo che indirizzava l’aria calda sui capelli. La svolta decisiva giunse però nel 1911 con l’inventore americano Gabriel Kazanjian, che brevettò il primo asciugacapelli con elementi elettrici, più piccolo e maneggevole del predecessore. Fino ai giorni nostri, si sono quindi susseguiti modelli sempre più funzionali. Ma prima di seguirne l’evoluzione può essere interessante scoprire come ci si asciugava i capelli prima di questa invenzione. Anticamente per asciugare i capelli, donne e uomini hanno fatto ricorso a metodi che richiedevano pazienza e buone condizioni climatiche. Com’è ovvio immaginare, infatti, uno dei primi espedienti fu l’asciugatura dei capelli al sole. In alternativa, si metteva la testa bagnata davanti a un focolare, magari aiutandosi con teli assorbenti. In seguito, dall’antico Egitto, si diffuse l’abitudine di arroventare dei ferri su cui disporre i teli prima di usarli per tamponare la testa, in modo da scaldarli.
In Cina furono invece messi a punto piccoli ventagli di bambù con cui indirizzare l’aria verso la testa, sempre in prossimità di una fonte di calore. Per tutto il Medioevo e l’Età moderna, questi metodi rimasero invariati, inclusa l’abitudine di pre-riscaldare i panni per capelli, i migliori erano di lino, su una stufa, molte donne li mettevano in testa al momento di coricarsi. Le cose migliorarono nel XIX secolo grazie alla nascita dei moderni teli in spugna, realizzati in cotone, più assorbenti dei predecessori. Finalmente, nel 1888, Alexandre-Ferdinand Godefroy presentò in Francia il suo prototipo di asciugacapelli. Quanto alla parola “phon”, o “fon”, con la quale l’asciugacapelli è chiamato in alcuni Paesi, a partire all’incirca dagli anni Trenta del XX secolo, deriva dal tedesco Fohn, nome di un vento caldo che soffia in area alpina, noto in Italia come Favonio.
Pur rivoluzionario, l’ingombrante asciugacapelli ideato da Godefroy, dotato tra l’altro di una valvola regola-vapore, per evitare bruciature, risultava poco pratico, essendo molto lento da usare nonché difficile da trasportare. Più efficace risultò il modello brevettato negli Usa da Gabriel Kazanjian nel 1911, alimentato elettricamente e dotato di una manovella per azionare il flusso d’aria. Realizzato in metallo e vagamente simile nella foggia ai moderni phon, era molto rumoroso e non garantiva ancora prestazioni ottimali, ma nel giro di poco tempo i modelli a lui ispirati, commercializzati a partire dagli Anni ’20 in Francia, Germania e Usa, registrarono notevoli migliorie, con meccanismi automatici, basati su motorini elettrici e ventole, e scocche più leggere e maneggevoli. Questi oggetti, sempre più diffusi, furono resi più sicuri grazie a congegni che evitavano il surriscaldamento e i rischi di cortocircuito. Intanto, iniziarono a farsi strada anche le piastre per capelli, utili ad arricciare o lisciare le chiome e il cui prototipo di riferimento era stato brevettato nel 1909, da tal Isaac K. Shero, inventore dalla nazionalità incerta.
A decretare il successo dei primi modelli elettrici di phon fu, oltre alla rapidità di asciugatura, la possibilità che offrivano di governare particolari pettinature come il taglio à la garconne, il caschetto in voga tra gli Anni ’20 e ’30, decennio in cui spopolò l’asciugacapelli Foen, modello dell’azienda tedesca AEG. Oltre al successo dei phon da casa, nel secondo dopoguerra, sulla scia del primordiale casco di Godefroy, presero forma i moderni caschi asciugacapelli, vera icona dei saloni dei parrucchieri, realizzati in versione “cuffia”, collegabile all’asciugacapelli, per l’uso domestico. Rispetto ai comuni phon, questi asciugavano in modo uniforme, convogliando il getto d’aria calda simultaneamente sull’intera capigliatura. Tra gli Anni ’50 e ’70, un’importante novità fu l’introduzione di elementi plastici al posto di quelli metallici, dapprima nel manico e poi nella scocca, così da alleggerire ulteriormente i phon. Uno dei primi modelli in plastica fu il Superturbo 1500, lanciato nel 1977 dall’azienda italiana Parlux. In parallelo, furono introdotti meccanismi per ridurre il rumore, regolare il calore ed emettere anche getti freddi, utili per “fissare” la piega.
Sempre più economici, ergonomici, potenti, silenziosi, sicuri e delicati sui capelli, i phon conobbero quindi il definitivo boom come prodotto di massa. Ai modelli consueti si andarono tra l’altro affiancando quelli a parete, che consistono in una cassetta di plastica, contenente motore, resistenza e ventola, fissata al muro e collegata a un tubo snodabile terminante con una bocchetta per l’uscita dell’aria, una variante era quella attivabile con una monetina o un gettone. Nel terzo millennio hanno iniziato inoltre a spopolare i phon a tecnologia ionica: rilasciano ioni negativi che si legano alle molecole d’acqua presenti sui capelli, facendole disporre in modo uniforme, così da eliminare l’effetto crespo. Infine, nel novero dei nuovi modelli high-tech, sempre più piccoli e leggeri, spesso in versione cordless, sono entrati a far parte anche i phon a raggi infrarossi, che stimolano la vasodilatazione, agevolando la circolazione sottocutanea.