CAREMA - Nelle vallate del Pinerolese, in Valle di Susa e in Canavese c’è un patrimonio ambientale, paesaggistico e rurale che merita di essere difeso e trasmesso alle future generazioni, perché è la testimonianza di un’antica sapienza nella coltivazione di vigneti e di vitigni che vengono definiti come eroici. La Città metropolitana di Torino ha promosso e sostenuto uno studio i cui risultati sono stati sintetizzati nella Guida transfrontaliera per la conservazione e il recupero dei paesaggi viticoli alpini, curata dalla docente del Politecnico Claudia Cassatella. La ricerca analizza le caratteristiche paesistiche impresse al territorio dall’attività vitivinicola, con l’attenzione rivolta all’evoluzione secolare delle coltivazioni e all’impatto che hanno avuto sull’aspetto dei territori alpini. Sono interessanti sia le tecniche di coltivazione che quelle utilizzate per difendere i terreni scoscesi dall’erosione, tant’è che i muretti a secco sono inseriti nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale riconosciuto dell’Unesco.
La guida identifica alcuni indirizzi che le amministrazioni pubbliche dovrebbero seguire per tutelare i paesaggi vitati alpini, che devono essere innanzitutto preservati dall’abbandono e dalla frammentazione, incentivandone il recupero. Una serie di campagne conoscitive e mappature sono inoltre indispensabili per individuare i fattori strutturanti del paesaggio viticolo tradizionale. Occorre preservare le aree vitate dalle trasformazioni d’uso del suolo e dalla diminuzione della biodiversità, adattarle ai cambiamenti climatici, mantenere la riconoscibilità dei borghi storici, recuperare le costruzioni connesse con la viticoltura, valorizzare la qualità scenica dei paesaggi viticoli, mitigare le interferenze visive da parte di nuove costruzioni ad uso civile o produttivo non coerenti con il paesaggio tradizionale, ma anche da parte di strade, elettrodotti, muri di contenimento, recinzioni, segnaletica stradale e cartellonistica pubblicitaria. I privati devono essere accompagnati nel recupero e nella gestione degli appezzamenti vitati abbandonati, nell’impianto di nuovi vigneti e nel rinnovo di quelli in abbandono, nella riqualificazione e gestione di edifici storici e indispensabili come le cantine e i tradizionali capanni per il ricovero degli attrezzi. I muri e i muretti presenti nelle vigne, la biodiversità vegetale intorno e nelle vigne sono elementi da tutelare e valorizzare, anche perché influiscono sulla qualità dell’ecosistema del vigneto.
La guida non è un libro dei sogni, perché si chiude passando in rassegna progetti già realizzati con successo nei territori della Città metropolitana di Torino. Si tratta di progetti-pilota che, sull’esempio del recupero della casaforte Gran Masun a Carema e dei “ciabòt” lungo il Sentiero del Ramìe a Pomaretto, dimostrano che un’economia rurale e turistica può scaturire dal recupero dell’antica sapienza vitivinicola alpina.
«Siamo in una prospettiva di sviluppo rurale e sociale delle comunità alpine, ma anche di messa in sicurezza e manutenzione del territorio - sottolinea la professoressa Cassatella - i territori vitati alpini sono interessanti per un turismo che cerca un’esperienza non di massa. La prospettiva produttiva è interessante anche in considerazione del cambiamento climatico a cui andiamo incontro: già oggi si stanno spostando più in alto alcuni areali di coltivazione di determinati vigneti». L’elemento che fa ben sperare per il futuro è il fatto che vi siano nuove aziende condotte da giovani imprenditori e che nei tavoli di concertazione istituiti nelle quattro aree vitivinicole della Città metropolitana di Torino è emerso un interesse ad avviare nuovi progetti aziendali.