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CUORGNE’ - In occasione dell’80esimo anniversario della Liberazione e della Resistenza, oggi, domenica 9 febbraio 2025, la città di Cuorgnè ha ricordato il partigiano e medaglia d’argento al valor militare Walter Fillak, nato a Genova ma ucciso nel paese delle due torri il 5 febbraio 1945 a causa della sua opposizione al regime fascista. Dopo l’omaggio ai caduti e la deposizione di una corona d’alloro al cippo commemorativo in via Alpette, la manifestazione si è trasferita alla sala conferenze Trinità di via Milite Ignoto.

Davanti ad una ex chiesa gremita e sotto gli occhi del partigiano, Renzo Savio, e della consigliera regionale, Alice Ravinale, sono stati il presidente dell’Anpi cuorgnatese, Roberto Rizzi, e la sindaca, Giovanna Cresto, a fare gli onori di casa. «Grazie per essere presenti qui oggi così numerosi – ha commentato la prima cittadina di Cuorgnè – E’ una festa anche se andiamo a commemorare un momento triste della nostra storia. E’ la festa della memoria di un uomo, che pur non avendo origini canavesane, è diventato in tutti questi anni uno di noi, un nostro cittadino, un nostro amico. Ha scelto di donare la sua vita per la difesa della libertà, da subito, fin dagli studi del liceo. Mi vengono in mente le lettere che alcuni cittadini cuorgnatesi scrivono al padre di Walter per raccontare la morte del loro figlio. In una di queste missive si legge: “Le posso assicurare caro ingegnere che Walter è diventato nostro figlio”. E tutti noi, oggi, vogliamo pensare Walter Fillak come un figlio di Cuorgnè. Grazie a chi in tutti questi anni è intervenuto per raccontare Walter. Grazie a voi è stato possibile mantenerne viva la memoria».

Nel corso dell’incontro sono intervenuti il presidente dell’Anpi di Genova, Massimo Bisca, e lo storico Erik Gobetti. «Si dice che la storia è maestra di vita. D’altra parte non staremmo a fare una celebrazione di questo tipo se non credessimo che la storia, ovvero il nostro passato, ciò che abbiamo vissuto, non ci possa insegnare qualcosa, non possa aiutarci a costruire il nostro presente e immaginare il nostro futuro – ha detto Gobetti - E dunque cosa ci insegna oggi la storia di Walter Fillak? È davvero così lontana da noi la sua tragica fine? È davvero incomprensibile, inutile? Walter era un ragazzo come tanti, cresciuto in un’epoca in cui era proibito pensare. Credere, obbedire, combattere era lo slogan che dominava allora le piazze, le caserme, le aule scolastiche. Ma fin da ragazzo Walter aveva il vizio di pensare con la sua testa. E aveva il coraggio di dissentire, pagando di persona le proprie scelte. Già questo ci dice qualcosa del mondo in cui viviamo, un mondo in cui il pensiero libero è scoraggiato, il dissenso è punito, in cui ai nostri governanti piacerebbe di nuovo mettere i giovani nelle caserme, farli sfilare in buon ordine, farli credere, obbedire e combattere. Il regime in cui Walter è cresciuto, il regime fascista, non amava soltanto l’ordine e l’obbedienza. Amava la violenza. I suoi valori di riferimento erano la brutalità, la prepotenza, l’umiliazione del forte sul debole. Walter lo sapeva e sapeva di dover lottare contro tutto quell’odio. Ecco un’altra cosa che ci insegna la sua storia».

«Ecco dalla parte degli aguzzini di Walter c’erano i tedeschi invasori, ma c’erano anche tanti italiani che credevano in quell’idea mortifera in cui tutto si ottiene con la forza – ha concluso Erik Gobetti -Ma dalla parte di Walter c’era il mondo intero, c’erano giovani di ogni nazionalità e di ogni visione politica, che lottavano insieme, fianco a fianco, non solo per cacciare l’invasore dall’Italia, ma anche per cambiare il mondo, per cancellare una volta per tutte quel pensiero, per metterlo per sempre fuori dalla storia. Walter era un patriota vero: amava la sua terra, ma rispettava gli altri popoli. I nostri partigiani credevano che bastasse la Costituzione, una costituzione meravigliosa e chiarissima, a preservare la pace e la democrazia. Si erano illusi, purtroppo. Oggi molte democrazie occidentali, tra cui la nostra, stanno subendo una mutazione in senso autoritario. Essere partigiani oggi significa continuare a credere che sia giusto lottare dalla parte dei più deboli, degli oppressi. Sapendo che non siamo perfetti, come non lo erano i nostri partigiani e le nostre partigiane, sapendo che faremo tanti errori, ma che la posta in gioco non è solo la nostra vita: la posta in gioco è il mondo intero. Sappiamo che la strada sarà lunga, ma vale la pena di percorrerla. Italiani e non, uomini e donne, religiosi e laici. È una lotta per l’umanità, e dobbiamo lottare insieme. Perchè un mondo migliore è possibile!».