“Posso resistere a tutto, tranne alle tentazioni”, recita uno dei più celebri aforismi di Oscar Wilde, maestro assoluto dell’ironia applicata all’esistenza. E Wilde sarebbe assai fiero, scoprendo che a quasi 125 anni dalla sua morte, la scienza si è finalmente decisa a dargli ragione.
In pratica, un gruppo di scienziati del prestigioso “Max Planck Institute for Metabolism Research” di Colonia e dell’Università di Yale, guidati dal professor Marc Tittgemeyer, ha deciso di sondare quanto gli impulsi cerebrali in determinate occasioni sappiano trasformarsi in ordini perentori a cui resistere è quasi impossibile. Ad esempio di fronte a quei cibi che è meglio non assaggiare pena non riuscire più a smettere, come succede con le patatine, il cioccolato e i dolci.
In pratica, quello che fino ad oggi era stato frettolosamente etichettato alla voce ingordigia, altro non è che un insieme di connessioni cerebrali che provano piacere incontrando zuccheri e grassi, col risultato di volerne ancora e ancora.
Buffo è che per arrivare a dimostrare la teoria, il team abbia ideato un test che aveva come punto di partenza due budini: il primo pieno di zuccheri e grassi, il secondo più light. Le due varianti sono state aggiunte al pasto di altrettanti gruppi di volontari per due mesi. Il risultato, dopo 8 settimane di dessert e risonanze magnetiche farà piacere a chi spesso deve difendersi dall’accusa di concedersi troppi peccati di gola: il cervello di coloro a cui era stato assegnato il budino più calorico attivava i neuroni dopaminergici, quelli da cui dipende il piacere, molto più fretta di chi invece si era accontentato del budino più salutare.
In pratica, il cervello riconosce il cibo più gratificante a base di grassi e zuccheri e ordina al resto del corpo di non smettere, ma non solo: anche riuscendo a vincere il desiderio, quel piacere resta impresso per lunghissimo tempo in quell’archivio immenso di sensazioni ed emozioni racchiuso nella nostra materia grigia, pronto a risvegliarsi alla prima occasione utile.
Secondo lo studio, in questo complesso meccanismo cerebrale c’entra anche l’evoluzione del genere umano e la sua programmazione a raggiungere sempre un obiettivo, che scatena l’ancestrale senso di ricompensa di avercela fatta. “Le alterazioni riscontrate erano indipendenti dalle variazioni del peso corporeo e dei parametri metabolici – spiegano nello studio gli scienziati - indicando un effetto diretto degli alimenti ad alto contenuto di grassi e zuccheri sugli adattamenti neurocomportamentali che possono aumentare il rischio di sovralimentazione e aumento di peso”.