Galleria fotografica

Dall’altra parte dell’oceano, stretto fra due Paesi della superfice enorme come il Venezuela ed il Brasile, si estende la Guyana, un piccolo stato dove secondo i dati del 2017, il 41% della popolazione viveva con 5,50 dollari al giorno, al di sotto della soglia di povertà, sbarcando il lunario come poteva, fra un po’ di turismo e la coltivazione di canna da zucchero e banane.

Poi, sull’economia del piccolo Paese sudamericano è piombato il petrolio, con la scoperta di enormi giacimenti, e la realtà è cambiata di colpo. Tutto è successo nel 2015, quando l’americana “Exxon” ha scoperto un giacimento al largo delle acque che bagnano Georgetown, la capitale, valutato in una capacità totale di 11miliardi di barili di greggio, con una produzione pari a 400mila barili al giorno che entro il 2028 dovrebbe aumentare a 1,2 milioni di unità.

Da quel momento, il balzo della piccola Guyana è stato impressionante: dalla posizione numero 108 nell’Indice di Sviluppo Umano secondo l’ONU, è passato ad un vero boom economico, con un reddito pro capite che nel 2019 si limitava a 13mila dollari e appena tre anni dopo, nel 2022, era schizzato a 42mila. Tutto questo mentre il Pil si impennava del +63% e il Fondo Monetario Internazionale strabuzzava gli occhi, valutando la crescita per il 2024 pari al 26,6%.

Oggi la Guyana – mentre il resto del mondo si azzuffa e fa rumore – è diventata una sorta di Dubai in versione sudamericana, dove i palazzinari fanno a gara per disegnare la skyline, i ristoranti di lusso si moltiplicano e i colossi come Starbucks e Hard Rock Cafè hanno già piantato la bandierina. A questo si aggiunge il presidente Mohamed Irfaan Ali, che si recente si è lanciato in un’iniziativa impensabile per il resto del pianeta, specie in periodi come questi, ammorbati da crisi e guerre: la decisione di concedere un bonus universale ad ogni cittadino maggiorenne, che riceverà 500 dollari cash, più o meno 460 euro. Non saranno un’enormità, ma in un Paese dove le disparità sociali sono ancora tante fanno eccome la differenza e sono comunque meglio delle mancette che i governi occidentali sono soliti elargire.

Sullo straordinario caso della Guyana ha acceso i riflettori anche il “Financial Times”, che è sceso nei dettagli fono a mettere in dubbio il futuro. A far temere il peggio sarebbe un governo troppo accondiscendente verso i vincoli ambientali concessi ai famelici petrolieri americani, al punto da rischiare una “bomba climatica”, con l'aggiunta di un effetto storicamente già visto e definito “resourse curse”, più o meno la maledizione delle risorse, ovvero quell’improvviso benessere che gonfia la moneta locale aumentando disuguaglianze sociali e livelli di corruzione.