Il 7 maggio del 1824, il “Theater am Kartnertor” di Vienna ospitava la prima di “An die Freude”, ode composta dal drammaturgo tedesco Friedrich Schiller meglio conosciuta come “Inno alla gioia”, resa celebre e immortale da Ludwig Van Beethoven, che nel 1823 l’ha scelta come testo della parte corale del quarto movimento della “Nona Sinfonia”, il cui manoscritto originale è conservato presso la “Staatsbibliothek” di Berlino. Un testo romantico che racconta di una società in cui uomini e donne sono legati da gioia, amicizia e fratellanza, non a caso nel 1972 scelto dall’Unione Europea come inno ufficiale.
Un’opera imponente, considerata una delle composizioni più complesse mai scritte per via dei quattro movimenti e la durata, che superare i 60 minuti e richiede la presenza di un’orchestra completa, un coro e solisti vocali. In fondo, la nascita stessa dell’opera è stata particolare, durante uno dei peggiori periodi della vita di Beethoven, afflitto dalla sordità e in preda a gravi problemi finanziari.
Un risultato è una “grandeur” che non avrebbe deluso l’attesa spasmodica per il nuovo lavoro del compositore tedesco, la cui ultima sua composizione, l’Ottava, risaliva ormai a dieci anni prima, e per di più accompagnate da apparizioni pubbliche sempre più rare. Malgrado la segretezza che avvolgeva il lavoro del grande compositore tedesco, i giornali dell’epoca erano riusciti a pubblicare qualche anticipazione, come ad esempio una novità assoluta per lo stile austero di Beethoven: l’ultimo dei quattro movimenti affidato a quattro solisti e un coro, ma composto da soli dilettanti.
Nell’estate del 1785 Schiller aveva completato il suo lavoro, composto da 9 strofe di otto versi ciascuna nella prima versione, diventati 8 nella seconda e definitiva, anche se soltanto l’anno successivo sarebbe stato pubblicato integralmente sulla rivista culturale “Thalia”.
Anni dopo, Antono Schiller, violinista e segretario personale di Beethoven, avrebbe raccontato la serata del 7 maggio 1824, iniziata con un’esplosione di entusiasmo del pubblico: “Tutti i posti erano occupati. Un solo palco era vuoto, quello dell’Imperatore, benché il Maestro e io stesso avessimo personalmente invitato tutti i membri della famiglia imperiale, e che alcuni di loro avessero promesso di venire”.
Negli anni, l’Inno alla Gioia è diventato uno dei punti d’arrivo per i più grandi direttori d’orchestra della storia, da Herbert von Karajan a Leonard Bernstein e la sua “Wiener Philharmoniker” o ancora Arturo Toscanini, Karl Böhm, Claudio Abbado, Gustavo Dudamel, Riccardo Chailly e Sir Georg Solti con la Chicago Symphony Orchestra. Un successo che si è ripetuto in questi giorni a Vienna, affidando alla bacchetta di Riccardo Muti le celebrazioni dei 200 anni con quattro serate, dal 4 al 7 maggio.