di Maria Burro - Canavesealcentro
Nata a Cuorgnè nel 1990, cresce in Canavese tra scout, concerti, fumetti, giochi di ruolo e attività culturali. Laureata in Ingegneria del Cinema e dei Mezzi di Comunicazione, specializzata in progettazione culturale. Dal 2019 è referente comunicazione per il FAI - Fondo per l’Ambiente Italiano, al Castello e Parco di Masino e alla Collezione Enrico a Villa Flecchia. Crede nella cultura come valore attrattivo per il territorio, ma anche come alternativa al disagio sociale. Nel 2011 fonda l’associazione culturale Dynamic District 10082 con cui organizza eventi legati alla cultura a 360°: dal cibo alle arti performative ai fumetti. Per 6 edizioni è direttore artistico e project manager di May Day Festival. Nel 2021 e 2022 collabora con TO LOCALS ETS alla realizzazione di APOLIDE Festival e nella creazione di Morena Stories e APOLIDE Drops. Ha scoperto pochi anni fa che il marketing territoriale è un concetto concreto, fino ad allora ha sempre solo cercato di convincere tutti che il Canavese è attrattivo, al grido di «In Canavese c'è roba».
Da piccola vendemmiavo con la mia famiglia.
Andavamo tutti nella vigna dei nonni e, “cavagne” alla mano, si raccoglieva l’uva dell’anno che sarebbe diventata vino. Il nostro vino.
Sono certa che molti canavesani abbiano questo ricordo e, lo spero tanto, molti possano ancora vivere questi momenti, creando ricordi per i nuovi piccoli vignaioli.
Il vino che veniva fuori da queste giornate di lavoro, di condivisione e (per me) di grandi sorrisi, non era sicuramente un’eccellenza - ma andava bene così: era il frutto della passione più che della tecnica, delle conoscenze arcaiche più che dello studio accademico.
Era la necessità di raccogliere un dono della terra, più che un prodotto da vendere.
Una terra che, se la rispetti e la sai trattare, ti darà i suoi frutti.
Partiamo da qui: per molti di noi, il vino canavesano è quello lì, quello delle vendemmie con la famiglia.
Sono cresciuta sentendo dire dai canavesani che il nostro vino è ok, sì, ma non è poi granché.
L’avete notato? Non è sempre facile trovare il vino canavesano da acquistare.
Non è sempre facile sentirsi dire il nome della cantina, quando ordini un Erbaluce.
In molti posti non lo trovi neanche, l’Erbaluce.
Perché?
Eh, signora mia, perché ci sono tanti altri bianchi che arrivano da fuori.
Che l’Erbaluce è buono, va bene, ma non siamo le Langhe.
E il Carema non è il Barbaresco.
Ma è questo il punto: il Canavese non sono le Langhe.
Il Canavese è il Canavese: ha una storia complessa, che nasce da un ghiacciaio e viene plasmata dai venti e protetta dalle Alpi.
Tornando al vino, lo confesso: ho sempre pensato anch'io che i vini canavesani non fossero delle eccellenze.
Un po’ perché, obiettivamente, il lavoro da fare su questi vitigni e sulla lavorazione del vino è complesso, e un po’ perché il canavesano è così: nasce scettico su ciò che ha intorno.
Il Canavese è un territorio che ti porta a pensare che sia troppo difficile cambiare lo status quo, che “se si è sempre fatto così ci sarà un motivo”, ma allo stesso tempo non ti fa valorizzare davvero ciò che il territorio stesso ci offre.
Per questo ho sempre voluto provare a cambiare le cose e mi sono sempre interessata a chi vuole dare il giusto valore a ciò che, come noi, cresce su questa terra non sempre ospitale.
In questi anni ho visto crescere realtà vitivinicole che si fanno strada nel mondo, ho conosciuto consorzi e associazioni nuove, come i Giovani Vignaioli Canavesani, che hanno voglia di coltivare le buone tradizioni (quelle che i miei nonni seguivano per curare i vitigni), aggiungendo però le competenze di un vignaiolo del 2023.
E soprattutto hanno la voglia di scardinare le tradizioni negative del Canavese - prima fra tutte: l’idea che ciò che abbiamo qui non possa essere all’altezza del resto del mondo.
E, finalmente, è arrivata la notizia: l'Erbaluce è stato presentato al Vinitaly come vitigno dell'anno 2023 del Piemonte.
E, finalmente, abbiamo avuto la conferma che il nostro territorio, e letteralmente il nostro terreno, abbia grandi potenzialità.
Bisogna sicuramente saperlo trattare.
Come bisogna saper trattare tutto ciò che nasce su questa terra, che un tempo era ghiacciaio, in un territorio che se provi a raccontarlo è impossibile, perché il Canavese è colline, è Anfiteatro Morenico, è campi, è laghi, è Gran Paradiso.
A volte sembra chiudersi al resto del mondo, e sembra impossibile muovere passi fuori da qui. Come se dovessi scalare le montagne, ogni volta.
Ma la notizia dell’Erbaluce ha confermato la mia posizione: io credo nel mio territorio, credo in ciò che ha radici in questa terra e nei frutti che può portare.
Siamo tutti frutti di questo territorio.
Siamo tutti nati qui, all’ombra del Gran Paradiso, sulle spalle di Olivetti, abbracciati dalla Serra.
Sta a noi diventare quell’Erbaluce, ricordandoci che nel nostro DNA siamo il vino dei nonni. (Canavese al Centro).