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RIVAROLO CANAVESE - Questione di gambe, certo. Di allenamento, forma fisica, muscoli che spingono anche in condizioni estreme. Ma è anche (e soprattutto) questione di testa. Perchè se non corri convinto, se non trovi dentro di te la forza per superare ogni tipo di ostacolo, allora non c'è proprio verso di arrivare al traguardo. Alberto Vaghi ce l'ha fatta: 59 anni di Rivarolo Canavese è riuscito nell'impresa di terminare la «Trans Am Bike Race», una gara ciclistica no-stop di quasi 7000 chilometri (6700 e rotti) che attraversa gli Stati Uniti dal Pacifico all'Atlantico, con partenza da Astoria (nell'Oregon) ed arrivo a Yorktown, in Virginia. 25 giorni in sella. Giorno e notte, attraverso dieci Stati e quattro fusi orari. Tra neve e temperature sotto zero in Wyoming e Montana, fino al caldo tremendo oltre i 40 gradi del Kansas. Una gara, un'avventura, una sfida con se stessi, rigorosamente in solitaria. Alberto, professione rappresentante commerciale, questa mattina, domenica 2 luglio 2023, ha fatto ritorno nella sua Rivarolo, accolto da un drappello di amici e tifosi, vicini di casa e, naturalmente, dalla moglie Laura e dalle figlie Michela e Chiara.

Una passione, quella per la bici, che affonda le radici negli anni: «Eh si, ho preso la mia prima bicicletta da corsa che avevo otto anni - racconta Alberto Vaghi - mi è sempre piaciuto andare in bici anche se non l'ho mai fatto a livello agonistico. Nel 2014, grazie a due amici, mi è nata la curiosità per questo tipo di competizione che, in in realtà, sono vere e proprie sfide. Innanzitutto con se stessi». L'avventura negli Stati Uniti, Alberto l'aveva già tentata l'anno scorso ma, a causa di un infortunio, era stato costretto al ritiro. Quest'anno le cose hanno preso sin da subito la piega giusta anche se è stata davvero un'impresa arrivare fino in fondo. Erano appena 50 gli iscritti alla «Trans Am Bike Race» (poi vinta dall'italiano Omar Di Felice) e alcuni, mentre scriviamo, devono ancora arrivare a Yorktown.

«Fisicamente devi essere allenato, ovviamente - racconta il 59enne di Rivarolo - però se non sei straconvinto di testa, ti ritiri al 100%. Sono tantissimi i momenti di totale sconforto che si vivono nel corso di una traversata di questo tipo. Momenti durissimi dai quali nemmeno tu, a volte, sai come uscirne. Se non hai dentro di te voglia e passione che ti animano nel profondo del cuore, proprio non ce la fai. E' un'altalena di momenti belli e di momenti difficili. Ed è un'alternanza che ti capita addirittura più volte nella stessa giornata». Un sali-scendi di emozioni che, per forza di cose, mette a durissima prova i ciclisti: «Nei momenti difficili cerchi soprattutto di pensare al perchè sei lì e devi trovare la forza dentro te stesso. C'è stata una sera, ad esempio, mentre stavo scendendo dai 3500 metri di un passo, che, a causa del vento, non riuscivo proprio ad andare avanti. Viaggiavo pianissimo anche in discesa. E' arrivato un forte temporale con pioggia e grandine e io dovevo ancora percorrere 70 chilometri per arrivare alla prima città perché negli Stati Uniti le distanze si moltiplicano e i centri abitati distano tra loro distanze enormi. In quei momenti è stata proprio dura: non c'erano vie di fuga e potevo solo andare avanti per la mia strada. Ho trovato la forza proprio ripensando a tutto il percorso che avevo fatto per arrivare fin lì».

La «Trans Am Bike Race» è una gara in modalità no-stop che i partecipanti devono affrontare in solitaria: il tempo considerato è quello totale, comprensivo delle eventuali soste per il sonno e per tutte le esigenze alle quali ogni atleta deve far fronte autonomamente. Ogni forma di assistenza è vietata e punita dal regolamento. Alberto Vaghi, che a seconda delle temperature ha pedalato di giorno o di notte, ha dormito qualche volta in motel o negli uffici postali (che negli States sono sempre aperti), ma anche sulle panchine lungo le strade, in caso di necessità. A «pisolini» di tre o quattro ore alla volta, non di più. E negli ultimi due giorni, «proprio perchè non vedevo l'ora di arrivare», si è fatto tutta una tirata per raggiungere il traguardo. Una prova durissima anche per il fisico: venticinque giorni di fila a mangiare hamburger e cibo americano («La pasta asciutta mi è mancata tantissimo», confessa). 

Per fortuna è sempre rimasto in contatto con l'Italia, con il Canavese e, soprattutto, con la famiglia. Spesso tramite i social: «I miei famigliari mi hanno aiutato tantissimo, soprattutto nei momenti più critici». Una dedica particolare? «Un po' egoistica: a me stesso. Mi ero iscritto nel 2020 ma è arrivato il Covid. L'anno scorso sono stato costretto al ritiro. Quest'anno mi sono detto: è l'ultima possibilità. E ce l'ho fatta». Un premio alla tenacia e alla determinazione, assolutamente meritato.