FAVRIA - Giovedì 4 luglio nella biblioteca civica P. Pistonatto di Favria è stato presentato il libro «In Messico con Frida Kahlo, l’autoritratto come geografia» di Paola Zoppi, giornalista e consulente culturale, autrice e conduttrice radiofonica, che da anni si occupa dell’organizzazione di eventi culturali, quali festival e rassegne di cui è curatrice e presentatrice.
Il libro, edito da Giulio Perrone Editore, fa conoscere la Casa Azul a Coyoacán, ci parla dell’incontro con Diego Rivera e dell’interessante stanza segreta chiusa a chiave il giorno della morte di Diego Rivera, che nel testamento dispose che non dovesse essere aperta se non dopo quindici anni dalla sua scomparsa. Una riscoperta di Frida Kahlo, che «va ricercata nelle parti del suo corpo che, una volta fratturate, sono divenute genesi e spazio della sua arte - viene spiegato nella descrizione del libro - nelle parole scritte a grandi lettere diventate luogo di passione: disintegrazione, nascita, doppio».
Da dove nasce l’idea del libro? «Da diversi anni ho iniziato a studiare la figura di Frida Kahlo: ho deciso di approfondire, di scoprire le sue opere, di capire che tipo di donna fosse, in che modo si fosse distinta in un panorama storico e artistico in continua evoluzione come quello messicano post rivoluzione - ci racconta Paola Zoppi - Quindi dal 2017, coincidente con un evento traumatico che mi ha riguardato, come racconto nell'introduzione del libro, avvicinarmi in modo del tutto casuale alla figura di Frida Kahlo è stato in un primo tempo una sorta di approccio terapeutico, ma si è poi invece trasformato nella consapevolezza di voler entrare ancora di più nella storia di Frida Kahlo e soprattutto nella sua attività e la sua identità artistica».
Nella descrizione del libro si parla di “mappa astrale”, che cosa intende? «Ho voluto introdurre il lettore alla persona di Frida Kahlo con una mappa astrale, che fondamentalmente ci dà la possibilità di leggere le caratteristiche di ciascuno di noi nel momento in cui si nasce e il mondo non ha ancora condizionato e influenzato quella che sarà la nostra vita. Frida nasce sotto il segno del cancro e ha già in sé delle caratteristiche che renderà evidenti nella sua vita da adulta: una persona consapevole, determinata, con un’indole creativa molto spiccata e con una propensione a dedicarsi e curare gli altri, quindi a essere amata e amare».
“Disintegrazione, nascita e doppio”, tre parole che mi hanno incuriosito leggendo la descrizione del suo libro, ma cosa significano? «Nel libro ci sono luoghi reali e fisici: cominciamo questo viaggio che ci porta a Città del Messico, poi dagli Stati Uniti a Parigi, per poi tornare al punto di partenza. Dopodiché però ho scelto di raccontare Frida Kahlo andando a cercare i luoghi in cui secondo me si trova l’essenza dell’artista: io li chiamo luoghi ma non sono città o strade: sono ad esempio le parti del suo corpo, che nel momento in cui si fratturano, quando subisce un importate incidente nel 1925 e quindi in un momento di grande dolore, generano la sua arte. L’idea di raccontare questi non luoghi parte da una parola come “disintegrazione” che lei scrive nel suo diario, sinonimo di quello che è il lento scomporsi del suo corpo. La “nascita” perché Frida Kahlo nasce nel 1907 ma sceglierà da adulta di far coincidere la sua data di nascita col 1910, anno in cui scoppia la rivoluzione che farà sorgere un nuovo Messico con il quale lei sente la necessità di identificarsi e che ci dice molto della sua determinazione; “doppio” in quanto i suoi autoritratti da un lato sono la sua immagine riflessa, dall'altro sono luoghi di enunciazione, luoghi in cui si apre un dialogo tra Frida e l'osservatore».
Ha parlato della tendenza di riprodurre il volto di Frida Kahlo un po’ ovunque, questa “Fridamania” secondo lei si distacca dalla verità artistica oppure crea una sorta di continuità? «Questo è un punto cruciale - conclude la scrittrice - Il boom commerciale del suo volto riprodotto su qualsiasi tipo di oggetto costituisce oggi parte di una cultura materiale, ma credo si sia creato uno scollamento fra quella che è la sua immagine e la storia che c'è dietro a quel volto. Il mio auspicio è che ogni oggetto che riproduce un suo autoritratto possa essere una sorta di trampolino per poter approfondire la sua storia come è accaduto a me: io ho visto un suo quadro e mi sono chiesta chi fosse quella donna che aveva dipinto su quella tela un dolore così forte ma comunicasse allo stesso tempo vita?». (Marco Dematteis)